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La Commissione europea chiude la procedura di Articolo 7 contro la Polonia

Donald Tuks e Ursula von der Leyen appartengono alla stessa famiglia politica, il Partito popolare europeo (PPE) di centro-destra,
Donald Tuks e Ursula von der Leyen appartengono alla stessa famiglia politica, il Partito popolare europeo (PPE) di centro-destra, Diritti d'autore European Union, 2024.
Diritti d'autore European Union, 2024.
Di Vincenzo GenoveseJorge Liboreiro
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

La Commissione europea ha annunciato che chiuderà la procedura di Articolo 7 contro la Polonia, avviata nel 2017 per frenare la regressione dello Stato di diritto nel Paese

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Secondo la nota diramata dalla Commissione, "non esiste più un chiaro rischio di una grave violazione dello stato di diritto in Polonia": l'unico Paese insieme all'Ungheria per cui sia mai stata attivata **la procedura, considerata l'**opzione "atomica" di intervento delle istituzioni dell'Unione europea in caso di serio rischio di violazione dei valori fondamentali dell’Ue. Dopo un processo lungo e complesso, infatti, lo Stato interessato dall'Articolo 7 può perdere temporaneamente i suoi diritti in seno all’Unione, fra cui quello di voto.

Un'iniziativa senza precedenti

La procedura era stata attivata su iniziativa della Commissione il 20 dicembre 2017 per le violazioni sistematiche dei valori fondamentali nel Paese, connesse soprattutto alle riforme volte a limitare l'indipendenza della magistratura. 

Il governo polacco, ai tempi guidato dal partito Diritto e giustizia (PiS), aveva ha introdotto riforme radicali per riorganizzare la struttura dei tribunali, a partire dal Tribunale costituzionale, abbreviando anche il mandato dei giudici in carica per eliminare il dissenso. Le riforme giudiziarie in Polonia significano che il sistema giudiziario del Paese è ora sotto il controllo politico della maggioranza al potere", sosteneva la Commissione.

L'Articolo 7 ha comportato apposite audizioni dei rappresentanti polacchi davanti agli altri Stati membri per rendere conto della situazione nel Paese. Ma non si è mai arrivati al voto decisivo, quello che avrebbe provato la Polonia del suo diritto di voto al Consiglio dell'Ue, per cui è necessaria l'unanimità di tutti gli altri Stati membri.

Nel frattempo, non sono mancate le controversie giudiziarie fra Varsavia e le istituzioni europee: dalle azioni legali della Commissione, alla multa da un milione di euro al giorno inflitta dalla Corte di Giustizia dell'Ue.

Il riavvicinamento polacco

Ora però la Commissione europea considera che il nuovo governo guidato da Donald Tusk abbia intrapreso le giuste misure legislative per ripristinare lo Stato di diritto. "Questa giornata segna un nuovo capitolo per la Polonia: è il risultato del loro duro lavoro e dei loro sforzi di riforma", ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

La decisione deve tuttavia essere convalidata dagli Stati membri perché la procedura possa essere formalmente ritirata. La conferma potrebbe arrivare già in una riunione dei ministri degli Affari europei dei 27 Paesi Ue, prevista per la fine del mese.

La decisione rappresenta sicuramente una vittoria politica per il primo ministro Donald Tusk, entrato in carica l'anno scorso e subito determinato a migliorare le relazioni fra Varsavia e Bruxelles. 

"Il ripristino ora in corso dello Stato di diritto in Polonia è importante per il popolo polacco e per l'Ue nel suo insieme"
Ursula von der Leyen
Presidente della Commissione europea

Il suo governo ha presentato a metà febbraio un "piano d'azione" composto da nove progetti di legge specificamente concepiti per ripristinare l'indipendenza della magistratura dal Tribunale costituzionale a quelli ordinari. Nessuno di questi è stato approvato definitivamente, ma alcuni come la legge sul Consiglio nazionale della magistratura sono sulla buona strada. Tusk si è inoltre impegnato a rispettare le sentenze della Corte di giustizia europea e il primato del diritto europeo su quello nazionale.

La Commissione ha risposto sbloccando137 miliardi di eurodi fondi europei spettanti alla Polonia, che erano stati coneglati proprio per l'arretramento democratico del Paese e la mancanza di garanzie giudiziarie. 

Ad aprile, Varsavia ha ricevuto il primo pagamento di 6,3 miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti. Sebbene formalmente viaggino su due binari separati, lo sblocco dei fondi europei e la chiusura dell'Articolo 7 sono considerate due facce della stessa medaglia: quella del riavvicinamento della Polonia alle istituzioni dell'Unione europea.

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