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Offensiva di Israele a Rafah: i leader dell'Ue lanciano l'ultimo appello alla moderazione

Palestinesi fuggono dal lato orientale della città Rafah, dopo che l'esercito israeliano ha ordinato l'evacuazione in vista di un'operazione militare di terra nel sud di Gaza
Palestinesi fuggono dal lato orientale della città Rafah, dopo che l'esercito israeliano ha ordinato l'evacuazione in vista di un'operazione militare di terra nel sud di Gaza Diritti d'autore Ismael Abu Dayyah/Copyright 2024 The AP. All rights reserved.
Diritti d'autore Ismael Abu Dayyah/Copyright 2024 The AP. All rights reserved.
Di Mared Gwyn JonesEuronews
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

Sembra imminente l'attacco israeliano a Rafah e i leader e i ministri europei hanno esortato un'ultima volta Israele ad astenersi dal lanciare l'operazione militare di terra nel sud della Striscia di Gaza

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È sempre più concreta e imminente la possibilità che il gabinetto di guerra di Israele ordini alle sue truppe di invadere la città di Rafah, che confina con l'Egitto sul confine meridionale della Striscia di Gaza.

Da febbraio, l'Unione europea ha avvertito che la mossa avrebbe peggiorato una "situazione già catastrofica", dato che circa 1,4 milioni di palestinesi, oltre la metà della popolazione di Gaza, si rifugiano dalla guerra proprio a Rafah su precedente ordine delle forze di difesa israeliane.

Iniziata l'evacuazione di Rafah est

Lunedì, l'esercito israeliano ha ordinato ai residenti e agli sfollati palestinesi di evacuare i quartieri orientali di Rafah verso la zona sicura designata di Al-Mawasi, indicando che l'invasione potrebbe essere imminente.

Questo avviene dopo che i colloqui per il cessate il fuoco nella capitale egiziana del Cairo sono falliti nel fine settimana e dopo che il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato che le sue forze si sarebbero spostate a Rafah se le parti non fossero riuscite a mediare un accordo per il cessate il fuoco.

In una telefonata con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, domenica, il presidente francese Emmanuel Macron ha ribadito la sua "più ferma opposizione" a un potenziale assalto di terra israeliano a Rafah.

Anche il primo ministro belga Alexander De Croo, il cui governo ha guidato le critiche all'offensiva israeliana a Gaza, ha dichiarato lunedì ai media belgi che l'invasione di Rafah avrebbe "conseguenze drammatiche per la popolazione".

Lunedì l'Alto rappresentante per gli Affari Esteri dell'Ue, Josep Borrell, si è unito al coro di chi chiede a Israele di "rinunciare" ai suoi piani. Ha detto che l'Unione Europea "può e deve agire per prevenire un simile scenario".

L'Ue cerca di decidere la risposta all'eventuale attacco israeliano a Rafah

Un funzionario dell'Ue, parlando a condizione di anonimato, ha dichiarato a Euronews che l'Unione sta cercando di convocare gli Stati membri per discutere una potenziale risposta a un eventuale attacco di Israele. Ma la fonte ha anche detto che non ci sono ancora piani concreti sul tavolo in termini di risposta dell'Ue.

Gli sforzi diplomatici sono in corso, nel tentativo estremo di dissuadere il premier israeliano Benjamin Netanyahu dal procedere verso Rafah, con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden che ha ribadito fermamente la sua opposizione all'attacco, in un colloquio telefonico con Netanyahu. 

Un assalto a Rafah evidenzierebbe l'incapacità dell'Occidente di esercitare il proprio peso diplomatico per spingere Israele alla moderazione. I leader dell'Ue hanno chiesto all'unanimità a Israele di non procedere con la prevista invasione di Rafah a fine marzo.

Il blocco ha sempre faticato a raggiungere il consenso nella sua risposta alla guerra tra Israele e Hamas, con le capitali che mantengono **posizioni divergenti sul conflitto nella Striscia di Gaza. **

Divisioni su Gaza all'interno dell'Ue

Una schiera di Stati membri, guidati in particolare da Spagna e Irlanda, ha sempre chiesto una posizione più dura dell'Ue nei confronti di Israele ed è favorevole al riconoscimento dello Stato di Palestina.

Altri, in particolare Germania, Austria e Ungheria, esitano a minare la solidarietà del blocco con Israele.

La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato lunedì scorso, durante un dibattito elettorale a Maastricht, che il blocco interverrebbe se Israele invadesse Rafah.

"Penso che sarebbe del tutto inaccettabile se Netanyahu invadesse Rafah", ha detto von der Leyen, aggiungendo che se lo facesse, il suo esecutivo "si siederebbe con i nostri Stati membri e agirebbe di conseguenza".

Il Belgio spinge per i limiti al commercio

Il Belgio, che detiene la presidenza semestrale di turno del Consiglio dell'Ue, ha spinto Bruxelles a vietare l'importazione di prodotti dai territori occupati da Israele per "diverse settimane", ha detto lunedì De Croo.

Secondo la proposta belga, ai prodotti provenienti dai territori occupati da Israele, come i datteri e l'olio d'oliva, sarebbe vietato l'ingresso nel blocco.

Secondo la legislazione dell'Ue, i prodotti israeliani fabbricati dai coloni dovrebbero essere chiaramente etichettati come tali e soggetti a un regime doganale meno preferenziale, ma le regole non sono applicate rigorosamente.

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Il vice primo ministro belga Petra de Sutter ha annunciato lunedì che anche il governo belga sta pianificando ulteriori sanzioni contro Israele.

Madrid e Dublino hanno chiesto all'esecutivo dell'Ue di condurre una revisione urgente dell'"Accordo di associazione" Ue-Israele, che definisce le relazioni commerciali tra le due parti. L'accordo include una clausola che consente a ciascuna delle parti di sospendere gli scambi commerciali in caso di violazioni dei diritti umani.

Ma la proposta non ha ottenuto l'appoggio unanime richiesto dai leader.

Il Primo Ministro spagnolo Pedro Sánchez e il Taoiseach irlandese Simon Harris hanno concordato in una telefonata lunedì di "fare progressi" sul riconoscimento di uno Stato palestinese "molto presto" e che i loro governi si tengono in stretto contatto sulla questione.

Lo spagnolo Sánchez ha precedentemente fissato la scadenza a luglio, per il riconoscimento formale di uno Stato palestinese, che comprenderebbe Gaza, Gerusalemme Est e la Cisgiordania.

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